Fascismo in Italia

La marcia su Roma

Questa fu l’azione che decretò l’affermazione del Partito Fascista: le squadre d’azione entrarono a Roma il 28 ottobre 1922 senza nessuna opposizione della altre forze dello stato. Lo stesso giorno, il re Vittorio Emanuele III si rifiutò di formare lo stato d’assedio, chiamando a Roma Mussolini. Si incontrarono nella capitale il 30 ottobre, quando Mussolini ricevette l’ordine di formare il nuovo ministero. Il governo Mussolini iniziò quindi il 16 novembre, segnando la definitiva fine del controllo delle istituzioni liberali e democratiche sul potere fascista.

Leggi pro-fascismo

Mussolini approvò numerosi leggi che tendevano a togliere ogni potere al parlamento ed a consegnarlo a l Governo, assumendosi cariche che non gli spettavano legalmente. Ci fu inoltre una riforma scolastica – la Riforma Gentile – che fece guadagnare al partito fascista i voti della componente conservatrice e cattolica italiana.

Nel 1923 approvò inoltre la legge elettorale maggioritaria, che stabiliva la vittoria della lista più votata (naturalmente la sua visto che raggruppava la maggioranza dei partiti esistenti in Italia).
La vittoria fu schiacciante: il “listone” batté le altre liste, anche se il voto veniva costretto con brogli e intimidazioni di ogni genere.

Il delitto Matteotti

il 10 giugno 1924 uno dei rappresentanti che denunciarono i brogli fu rapito da una squadra fascista; venne ritrovato solo il 16 agosto successivo. Sembrò che il potere Mussolini vacillasse sotto una condanna così pesante, tanto che gli altri partiti non parteciparono più alle votazioni nelle Camere (questa è la cosiddetta Secessione dell’Avetino). La situazione non cambiò fino al 3 gennaio 1925 quando il presidente del consiglio ammise davanti al Parlamento di essere il responsabile del delitto. Fu questo il momento in cui si aprì la fase della dittatura.



La dittatura

Durante questa fase il governo si vide spogliato di tutti i suoi poteri grazie alle Leggi Fascistissime (1925-26): non poteva approvare leggi senza il consenso del governo, non poteva essere formato da altri partiti se non da quello fascista (essendo divenuti tutti illegali). Inoltre il capo del governo era responsabile solo davanti al re e i sindaci dovevano venire sostituiti da altrettanti podestà nominati dal sovrano. Fu reso più serrato il controllo della stampa e fu istituito il Tribunale speciale per la difesa dello stato.

L’organizzazione del consenso

Il partito si occupava anche del tempo libero delle persone: organizzava uscite, gare sportive e spettacoli (Opera Nazionale Dopolavoro). Divideva inoltre le persone iscritte al partito in base all’età e al sesso:
4-8 anni Figli della Lupa
8-14 anni Balilla Piccole Italiane 8-12 anni
14-18 anni Avanguardisti Giovani Italiane 13-18 anni
18-21 anni Gioventù Fascista Gioventù Fascista 18-21 anni
Cui seguiva per tutti l’iscrizione al Partito Fascista, alle Corporazioni, ai Gruppi Universitari Fascisti (G.U.F.) o al Dopolavoro.

Patti Lateranensi

Per avvicinarsi meglio al consenso totale, Mussolini cercò una riconciliazione con la Chiesa, riconoscendo ne Papa la maggiore autorità in campo temporale e spirituale e riuscendo così a farsi riconoscere come “l’uomo che aveva posto fine ai dissidi duraturi fra stato e chiesa”.
Così, l’11 febbraio 1929, firmò con il cardinale Pietro Gasparri un decreto che limitava il potere della legislazione su fatti come matrimoni cattolici e dottrina come materia anche scolastica.
Si dava poi alla Chiesa la possibilità di avere comitati come gli esploratori, la Fuci o gli Universitari Cattolici. Già nel 1931 però Mussolini gli sciolse tutti tranne l’Azione Cattolica in quanto professavano una fede che andava contro i principi del suo partito.



La politica economica

La politica economica fascista si può dividere in tre fasi principali:
1. La prima era di carattere liberista (1922-1925). Lo stato infatti tendeva a favorire lo sviluppo delle aziende e consentiva gli scambi commerciali con gli altri stati dell’Europa favorendo il libero scambio; inoltre si assisteva ad una forte diminuzione della spesa pubblica grazie a riduzione del personale e aumenti delle tariffe sui servizi.
2. La seconda invece è conosciuta come protezionismo (1925-1930). Sorsero infatti alcune difficoltà economiche che comportarono il rallentamento dell’economia internazionale. La lira subì una rapida svalutazione rispetto alle altre monete continentali: riprese così l’inflazione, cosa che il partito fascista non poteva accettare
“La sorte del regime è legata alla Lira”
Mussolini compì quindi un discorso a Pesaro (18 agosto 1926) nel quale stabiliva il tasso di cambio con la sterlina a 90 lire (“Quota Novanta”). Era questa una manovra deflazionistica dovuta sia a ragioni politiche che economiche.
Le conseguenze di tale cambio furono la cessazione della speculazione sulla lira e un’inflazione un po’ rallentata, con importanti capitali statunitensi che arrivavano in Italia.
Le conseguenze si poterono notare a lungo periodo: la deflazione portò le aree di sviluppo a concentrarsi su fabbriche di prodotti chimici ed elettrici che ampliarono il mercato interno, ma rese l’esportazione di prodotti tipici italiani (tessuti, alimentari *) molto sfavorevole.
3. Il periodo seguente è caratterizzato dalla CRISI degli Stati Uniti che si ampliò anche in Italia (anni ’30, soprattutto 1929). Si ridusse la produzione commerciale e il commercio con l’estero, mentre aumentò la disoccupazione. Il partito reagì in due modi: da un lato diminuì con un decreto le retribuzioni comprimendo i consumi privati, dall’altro intensificò il controllo dell’economia. Fondò quindi nel 1933 l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (I.R.I.) che acquisì la proprietà delle maggiori banche. Si poterono quindi salvare numerose imprese con i profitti del bilancio pubblico.

*la battaglia del grano: nel 1926 si iniziarono a prendere provvedimenti che dovevano coprire il sempre più ampio varco che si apriva tra l’economia del nord e quella meridionale. Con la Battaglia del Grano si cercava di aumentare la produzione di grano in modo da non dover far appoggio sulle potenze estere. Si ebbe un risultato favorevole al nord, ma negativo al sud (dove si bonificò gran parte del territorio), dove la produzione aumentò, ma solo di prodotti cerealicoli, a danno della zootecnia e delle culture specializzate.



La politica coloniale

L’idea del partito fascista era quella di conclude la conquista delle zone d’Africa, dopo la presa di potere in Eritrea, Somalia e Libia (che in parte doveva essere riconquistata), dove si cercò di consolidare la presenza. Soprattutto l’Eritrea costituiva una parte fondamentale nel piano che spingeva Mussolini ad espandersi in Etiopia (dove però salì però al potere Hailè Selassie, che iniziò una vasta opera di modernizzazione) tra il 1932 e il 1934. Si cercava di entrare nel paese sia tramite accordi commerciali col negus, sia sobillando i capi feudali. Mussolini si vide contro tutti i paesi europei che facevano parte della Società delle Nazioni.
Il 3 ottobre 1935 iniziò ugualmente la sua opera di conquista invadendo l’Etiopia e utilizzando gas tossici per insediarsi nel territorio. Questa lotta finì in parte il 6 maggio 1936 con la presa di Addis Abeba e la fuga di Hailè Selassie. Mussolini pronunciò in questa occasione un discorso che sanciva:
“La rinascita dell’impero sui colli fatali di Roma”
Si fondò quindi l’impero dell’Africa Orientale Italiana (A.O.I.) e Vittorio Emanuele III divenne anche imperatore d’Etiopia.
Vi furono numerose condanne sia dagli stati europei che dalla Società delle Nazioni che condannava in colonialismo e il modo con il quale l’Italia aveva preso l’Etiopia. Si ruppe così il legame con le potenze occidentali e si vide l’Italia sempre più orientata verso la Germania *. Inoltre aumentò il dissenso tra la popolazione perché, per poter pagare le multe derivanti dalla conquista, tutti gli italiani si videro costretti a consegnare allo stato beni come le loro fedi nuziali.

*Germania: nel 1938 ormai un quarto della produzione italiana era orientata verso il paese tedesco.

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