La Repubblica dopo le conquiste
La Repubblica dopo le conquiste
Nel periodo successivo alle conquiste e nel quale Roma divenne una potenza imperiale, vi furono trasformazioni interne con l’aumentare delle differenze sociali e delle disuguaglianze tra i popoli.
Nei paesi conquistati infatti la ricchezza si concentra nelle mani di due ceti:
- Senatori
- Cavalieri, i quali traevano guadagno dai commerci e dagli appalti pubblici.
Nel 218 a.c. con l’inizio della seconda guerra punica, la legge Claudia limitò le attività commerciali dei senatori, ma non quelle dei cavalieri i quali beneficiarono dei nuovi orizzonti economici divenendo la classe più ricca del periodo.
La parola “cavalieri” significava appartenere a un ceto sociale particolare al quale si potevano iscrivere i cittadini con un reddito di almeno 400.000 seterzi l’anno.
I cavalieri investirono la propria ricchezza in attività commerciali e finanziarie divenendo il motore dello sviluppo economico. Essi inoltre traevano enormi profitti dagli appalti pubblici; tutte queste attività erano chiamate pubblicani. Nonostante essi erano esclusi dalle cariche politiche, la loro ricchezza era molto superiore a quella di qualunque altro cittadino romano.
Conseguentemente allo stato di guerra, le magistrature militari acquisirono un potere maggiore e insieme al Senato divennero le maggiori al centro della vita politica.
Nel II secolo a.c. il Senato inoltre cominciò a esercitare compiti prima non previsti, come nominare i governatori delle province o istituire tribunali speciali; i comizi divennero sempre meno autonomi e rappresentativi della volontà popolare, insieme alla vera e propria corruzione politica di quel tempo andavano a creare uno scenario di crisi generale.
La crisi contadina
Se fino al III secolo a.c. l’agro pubblico era distribuito ai piccoli contadini, nel II secolo la situazione peggiorò radicalmente poiché le numerose guerre costringevano i contadini ad arruolarsi nell’esercito e lasciare il proprio terreno. Come se non bastasse i più ricchi, si tenevano per loro la maggior parte dell’agro pubblico e una volta tornati dalla guerra i contadini si trovavano il loro campo impoverito e costretto a diventare nullatenenti.
Solitamente i nullatenenti diventavano schiavi dei più ricchi, ma con i numerosi schiavi importati dall’estero, i quali costavano molto meno rispetto ai nullatenenti, la situazione si aggravò ulteriormente.
Un dato positivo su quello che gli schiavi romani furono utilizzati anche nei centri di produzione manifatturiera, in gran parte destinati a rifornire l’esercito.
La situazione degli italici dopo la seconda guerra punica era cambiata perché con il rallentamento dell’estensione dei diritti politici ai municipi si creò del malcontento tra la popolazione destinato a esplodere più tardi.
Le trasformazioni culturali
La società romana intorno al III secolo era ancora improntata a uno stile di vita arcaico poiché si ricorreva spesso all’uso di costumi degli antenati.
Altra caratteristica era il pragmatismo, ovvero il raggiungimento di risultati concreti motivato da esigenze concrete.
Nella Popolazione vi era anche una ristretta minoranza formata da uomini di cultura e di scienza, di quale insieme era chiamato Liberti.
Con il passare del tempo a Roma si è acceso uno scontro tra filoellenici e tradizionalisti:
- Filoellenici: volevano aprire la cultura romana alle novità provenienti dal mondo ellenistico.
- Tradizionalisti: volevano preservare i valori antichi della civiltà romana.
Il più grande sostenitore dei tradizionalisti fu Catone il censore, il quale fece emanare insieme ad altri tradizionalisti senza molto effetto, dei provvedimenti contro il lusso, le leggi suntuarie nel 215 a.c. Essi tuttavia combattevano contro la trasformazione culturale e politica che Roma stava subendo dopo le numerose conquiste.
Successivamente fu istituito il cosiddetto circolo degli Scipioni, sorto nella metà del II secolo a.c. sotto la guida di Scipione l’Emiliano, che mirava a elaborare un riassunto tra i valori tradizionali della civiltà romana. Polibio, uno dei membri, pensava che il successo di Roma fosse nella fusione che Roma realizzava tra monarchia, aristocrazia e democrazia.